E' di ieri la notizia di alcuni quotidiani che titolavano " i giovani laureati rifiutano salari di 1.250 euro al mese.
E giù con improperi e sarcasmo di molti.
Tutti a dire, ecco, i giovani in realtà non han voglia di lavorare.
Anche gli imprenditori, approfittando del vulgo imperante, continuano con la farsa, sostenendo che non trovano giovani per impiegare nelle loro aziende, pur pagandoli anche 1.400 euro al mese.
Allora è bene cominciare a sfatare queste semplicistiche ed "interessate" affermazioni, cercando, nel mio piccolo, di approfondire quella che sta divenendo una vera e propria emergenza .
Partiamo pure dal dato economico.
Chi è genitore immagino sappia quanto costa laureare 1 figlio?
C'è la Triennale ( che andrebbe abolita), e poi la specialistica.
Cinque - 7 anni di media.
Se poi è fuori sede costa il triplo, considerando l'affitto etc... -
Se poi fa un master occorrono altri 5- 10.000.= euro.
Anni e anni di sacrifici, studio, impegno, per raggiungere competenze di buon livello, per poter spendere nel mondo del lavoro, oggi sempre più richieste.
Per non parlare delle certificazioni linguistiche ( giustamente), di livello alto, che richiedono un altro botto di soldi.
Credo quindi sia giusto che un giovane rifiuti un trattamento simile, spesso al di sotto di quello che i loro stessi genitori, magari non laureati, dopo scatti vari e anzianità.
percepiscono.
D'altronde è stata la nostra generazione, quella dei boomer, che aveva raccomandato loro di investire in "competenze", anche quelle trasversali ( speaker, saper comunicare, empatia, etc...), perché questo, e solo questo, li avrebbe portati ad inserirsi più facilmente e, con successo, nel processo produttivo del Paese.
Quindi perché, gridare allo scandalo?
Cosa ci fa un giovane con simili salari?
Poco, pochissimo.
basti pensare che oggi un affitto costa almeno 700 euro al mese, che le spese per alimenti è aumentata a dismisura, ( 300 euro al mese?), a ciò vanno aggiunte le minime spese per abbigliamento, 50 euro al mese), servizi ( internet 50 E.), trasporti o auto ( bollo, assicurazione, carburante, manutenzione 150 E. ), minima vita sociale
( 1 pizza la settimana con gli amici 100 E.), 1 piccolo viaggio l'anno ( 100 E. su base mensile) ed altre pur minime esigenze culturali ( libri- concerti, etc.. 50 E.).
Tenendomi basso, la somma di questi elementi di calcolo assomma a circa 1.500 Euro mensili.
Dunque, come si può vedere, risulterebbe un deficit di 250 euro al mese, 3.000.= euro all'anno.
Prontamente i genitori , se ne farebbero volentieri carico, ma la domanda è:
E' giusto tutto questo?
E' giusto che oggi i giovani non possano, con tali simili salari, avere un progetto di vita?
E' giusto che le banche non concedano un mutuo, visto che spesso i contratti di lavoro dei giovani sono a termine, o a chiamata, a chi vorrebbe mettere su casa, per una vita indipendente dai genitori?
Tutto ciò però, a mio avviso, non basta a capire fino in fondo un tale fenomeno.
Quel che forse non si comprende è che i giovani oggi attribuiscono alla vita valori diversi dai nostri.
Il lavoro non è più l'unica ragione della loro esistenza.
I nostri genitori vivevano per il lavoro e di lavoro, consumando una intera esistenza a mantenere la propria famiglia, rinunciando spesso a qualsiasi extra, ai viaggi, ai concerti, alla vita sociale stessa.
Per chi non apparteneva a classi sociale agiate la vita consisteva in Lavoro e famiglia, famiglia e lavoro, questa è stata la loro esistenza.
Era anche un fatto culturale naturalmente .
Dopo gli anni del boom si intese falsamente che si era cittadini a pieno titolo solo se si contribuiva alla propria crescita, al benessere, alla ricchezza, anche del proprio Paese.
Ebbene, questa non è più l'humus culturale in cui i giovani oggi vogliono vivere.
I giovani nel lavoro vogliono incidere sul cambiamento della Organizzazione aziendale, vogliono un lavoro che rispetti la sostenibilità ambientale, vogliono preservare la loro salute mentale e non sottoporsi a stress continuo, non vogliono carichi di lavoro eccessivi con turni di 10 e più ore, vogliono insomma un certo equilibrio fra i tempi di lavoro e i tempi di vita, per i loro interessi, hobby, voglia di conoscenza di altre culture, di felici relazioni sociali.
Fino a che questo non sarà compreso dall'attuale classe Dirigente ed Imprenditoriale del Paese, ogni risposta messa in atto, non sarà assolutamente adeguata ai loro bisogni espressi.
E non vi è nulla di cui rallegrarsi se oggi, anche il Governo, e l'Istat, continuano a sbandierare, il dato, certamente positivo, di una crescita del tasso di occupazione.
Poiché ben diverso è il dato se si valuta quello della DISOCCUPAZIONE, che invece continua a crescere, giungendo al 16,7%, fra i giovani dai 15 ai 29 anni.
Senza contare che il fenomeno dei Neet ( siamo secondi in Europa, solo dopo la Romania), non si è arrestato ( seppure in leggera decrescita), e, senza contare che, se allargato ai giovani fino a 34 anni, oggi si raggiungono i 2 milioni di persone disoccupate.
Senza contare infine il dato sulla povertà relativa da lavoro, del Working Poor, che riguarda ben l'8,7% dei giovani che lavorano, che in media, percepisce 800 euro al mese.
Non è un caso quindi se ben 30 mila giovani l'anno lasciano il nostro Paese per salari e condizioni lavorative migliori.
Inoltre tale elemento incide sul fattore denatalità tanto importante per il futro della nostra Nazione.
Allora la domanda delle domande è : cosa non ha funzionato nella società moderna, post capitalista?
Cosa abbiamo sbagliato nei confronti della Generazione Zeta?
Abbiamo sbagliato solo noi boomer?
Bhe, forse una risposta diretta non c'è.
Certo la colpa non è dei boomer ma di un modello di relazioni economiche e sociali che non funziona più.
Cosa fare allora?
Qualcosa, specie in Europa, si è fatto, basterebbe emulare tali buone prassi.
In Germania, ad esempio, si è attuato il Piano Jugend Starken in Quartier ( Justi Q ), che ha coinvolto 2 milioni di giovani, che nel 59% dei casi ha trovato lavoro.
Inoltre, fino al 2027, l'Italia può accedere ai cosiddetti fondi FSE plus, per attivare misure strutturali finalizzate all'occupazione giovanile, misura ancora non realizzata.
Né sono risultate finora sufficienti gli sgravi contributivi previsti per gli imprenditori che assumono giovani fino a 29 anni e donne, o i bonus lavoro.
Nel Veneto è stato attivato il Progetto GOL, attribuendo ai giovani il cosiddetto " Assegno Gol", ma finora, a parte corsi di formazione strutturati ,e, di lunga durata
( 150 ore) , attribuendo ai giovani una indennità di 3,5 Euro l'ora, o tirocini extracurriculari con indennità di 450 euro al mese per 3 mesi, non hanno dato grandi risultati, mancando, da un lato un obbligo per le aziende di assumere, finito il tirocinio, e dall'altro una vera azione di politica attiva di "accompagnamento al lavoro", misura che in altri Paesi Europei funziona ( Francia- Inghilterra- Germania).
Al Sud si sta sperimentando, da parte del Governo, l'Agenda Sud, destinando risorse mirate e finalizzate all'incremento dell'occupazione, di cui al momento non si hanno dati certi.
Come si vede quindi il nostro Paese è indietro rispetto alle politiche attive, ma ancor più grave è indietro "culturalmente".
La sfida è quella di cambiare approccio, paradigma, verso tale questione.
Occorre ogni sforzo in termini di creatività e disponibilità verso le nostre future generazioni.
Occorre ascoltare le loro richieste, modificando, da un lato, gli attuali processi produttivi e modelli di organizzazione aziendale, e, dall'altro trovare risorse adeguate, senza sperperarle in mille inutili rivoli, attingendo pienamente ai fondi FSE plus, ed a quelli Nazionali.
Consapevoli però che la soluzione finale non può che giungere da una nuova politica dei redditi che in stagioni passate l'Italia ha positivamente sperimentato.
E' tempo che si dia al fattore lavoro il ruolo che merita.
E' tempo di promuovere, anche da parte delle forze sociali, una nuova politica dei salari, adeguandoli a quelli Europei, con adeguamenti di almeno il 30% in più di quelli attuali, oltre ad una generalizzata attuazione, anche nelle piccole e medie Imprese, di Welfare aziendale e benefit, a sostegno del reddito..
Le stesse forze datoriali ed il Governo, comprendano che questa è la misura principale che sbloccherebbe l'attuale situazione di stagnazione e impoverimento di alcuni ceti sociali e di intere generazioni.
Ma la vera rivoluzione sarebbe l'applicazione dell'Art- 46 della nostra Costituzione, in cui si prevede la partecipazione dei lavoratore alla gestione dell'Azienda ( in Germania si fa da 40 anni), e, al diritto di un dividendo degli utili annuali, nella misura del 10%.
Una rivoluzionaria proposta, condivisa finora in Italia da UGL e Cisl, che andrebbe incontro, anche alle istanze dei giovani, che, da un lato parteciperebbero così attivamente alla mission delle aziende, verso una maggiore eco- sostenibilità, e , dall'altro riuscirebbero finalmente ad ottenere ed un salario che li soddisfi appieno.
Muoviamoci dunque, e... "basta dire che i giovani non han voglia di lavorare".
Sebastiano Arcoraci#lavoro#giovani
bloger- scrittore
Comments